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Tra il pessimismo della ragione e l’ottimismo della volontà di Gramsci, la lezione del realismo di Aristotele e Tommaso d’Aquino

Antonio Gramsci è uno dei massimi pensatori italiani del Novecento; Aristotele e Tommaso d’Aquino sono due dei massimi pensatori di ogni tempo.

Detto questo, verrebbe facile affermare che Gramsci ha una visuale più a breve, e limitata rispetto ai due classici. Ma non basta, perché il confronto è metodologicamente improprio. Infatti, il filosofo e politico marxista si riferisce prevalentemente dallo scenario socio-politico italiano ottocentesco a quello dei primi decenni del XX secolo, mentre i due filosofi citati, il greco e il cristiano, si riferiscono ai processi storici e dello spirito umano osservati nei loro tempi e in divenire. In sostanza, non si possono confrontare tra loro le tre esperienze intellettuali e morali, esprimendo un giudizio di merito tra “oggetti speculativi” diversi. Non si possono infatti effettuare confronti stringenti tra tempi e persone così differenti, che hanno avuto per oggetto realtà tanto diverse.

E’ però possibile e interessante effettuare una comparazione fra sistemi teoretici diversi, in modo più generale.

In filosofia il realismo è il convincimento radicale che esiste una realtà indipendente dai nostri schemi concettuali, dai nostri linguaggi e credenze, e dalla nostra stessa esistenza. La filosofia realista ritiene che la verità consista in una corrispondenza tra pensieri – così come detti o scritti – e realtà. Forse sarebbe anche utile distinguere bene tra verità e certezza, poiché a volte molti fanno confusione tra i due concetti filosofico-epistemologici, laddove certezza significa conoscenza, o per evidenza o per conoscenza trasmessa da una fonte affidabile per quanto umanamente e tecnicamente possibile; verità significa corrispondenza tra atto o fatto e sua descrizione mediante un codice linguistico condiviso.

Può aiutare anche la definizione di scienza di René Descartes: “Scienza è conoscenza certa ed evidente di un enunciato in forza del suo perché prossimo, adeguato e plausibile“. (Discours sur le Méthode). La scienza è dunque il sapere che cerca di rispondere mediante verificazioni e falsificazioni potenzialmente di numero infinito (cf. Karl Popper) alla domanda “come funziona questa cosa?”, mentre la filosofia cerca di rispondere alla domanda “perché questa cosa?”

Ambedue, dunque, scienza e filosofia rispondono al quesito conoscitivo di certezza e di verità, ma con e da prospettive differenti.

Aristotele e Tommaso d’Aquino si possono definire i massimi “campioni” del realismo filosofico, mentre Gramsci, pur avendo sposato, anzi introiettato il marxismo teorico, nella forma del materialismo scientifico, è solo paradossalmente figlio dell’idealismo hegeliano, a mio avviso. Approfondiamo. Apparentemente, l’idealismo moderno parrebbe distante miriadi di galassie dal materialismo filosofico, ma è vero il contrario.

Per il marxismo teoretico il fatto economico e conseguentemente politico-sociale è la struttura portante della realtà, di cui è certamente il vero motore, anche se non l’unico. Infatti, si dà anche il plesso di cultura, lingue, religioni, che sono la sovrastruttura sottostante. Il fatto è che per il marxismo la struttura è talmente potente da condizionare i fondamenti di tutto il resto, al punto da poter modificare lo stesso “animale umano” (il marxismo è fondamentalmente darwiniano). Il marxismo, tramite la rivoluzione, pretende di costruire l’homo novus, cioè un essere umano non più egoista ma solidale ed egualitarista. Contro ogni evidenza scientifica in ambito psico-sociologico, perché l’uomo non è “redimibile”, per modo di dire, dal suo primordiale egoismo, che è originato dall’insopprimibile senso di autoconservazione individuale. Al marxismo teoretico è mancata una base filosofica e psico-sociologica.

In questo punto io individuo il massimo errore filosofico – che è di tipo idealistico – del marxismo. A mio avviso è per questo che il marxismo nella sua declinazione comunista ha fallito, mentre nella sua declinazione socialista gradualista ha avuto un certo successo. Non è un caso che Platone stesso (cf. La Repubblica), il primo grande idealista, così come suoi epigoni posteriori, à la Campanella (cf. La città del sole), o Thomas Moore (cf. Uthopy) si possono ritenere, fatte le dovute distinzioni che scongiurino l’anacronismo, dei proto-comunisti.

Platone stava per finire male con re Dionigi di Siracusa, Campanella ha rischiato il rogo come Giordano Bruno, e lo ha evitato avendo l’accortezza di dedicare, ovvero di farsi prefare (quasi) il suo capolavoro da un cardinale di Santa Romana Chiesa, mentre il Primo cancelliere del Regno Lord Moore perdette la testa sul ceppo di Henry the Eight.

Dentro il marxismo teorico, filiazione diretta dell’idealismo hegeliano, che piegava la realtà al pensiero umano, la figura di Gramsci è particolarmente interessante, proprio perché abbastanza eterodossa, rispetto a personaggi come Kautsky, o più ancora come Lenin, Stalin e Mao. Gramsci è stato un comunista diverso da costoro.

Gramsci, pur accettando il fondamento della struttura economica come motore principale della storia, dai tempi del baratto fino all’industrializzazione, ha sottolineato sempre, con le sue ricerche umanistiche in campo filosofico, filologico e letterario, l’importanza fondamentale della sovrastruttura, ritenendola importante quasi come la soprastante struttura dell’economia e della politica (cf. Quaderni del carcere).

Lo starordinario e originale contributo teorico di Gramsci al marxismo è stata anche la concezione concernente la necessità di conciliare due fondamentali elementi psicologico-spirituali e morali, l’ottimismo della volontà vs. il pessimismo della ragione: Gramsci non si illudeva sull’uomo e sulla sua struttura anche deficitaria, per cui riteneva che la ragione umana fosse sempre da vigilare, poiché cagionevole (il compagno Antonio si era accorto presto di come agiva Stalin…), mentre l’agire umano, soprattutto per la giustizia e l’uguaglianza fosse nutrita sempre della forza impetuosa di una volontà irriducibile al fine buono. Secondo me, Gramsci è stato un marxista eretico perché non ignaro della grande lezione realista classica, mentre Carlo Marx, Federico Engels e chi praticò il comunismo, di fatto, l’hanno ignorata.

In altri tempi i due campioni del realismo filosofico, Aristotele e Tommaso d’Aquino hanno sviluppato le loro teorie epistemologico-morali, senza pretendere di ribaltare, il primo Alessandro di Macedonia (che invece istruì da incomparabile precettore), il secondo la Chiesa, di cui fu mèntore, ma senza essere mai papista o servo stupido di un cardinale qualsiasi. Entrambi furono realisti sotto il profilo della ricerca della verità e moderati nella definizione di una dottrina etica, e lo furono perché posero l’antropologia (filosofica) alla testa di ogni sapere. Posero davanti a tutto il resto conoscibile lo studio sull’uomo e sulle sue caratteristiche.

Per loro non era possibile neppure intraprendere un percorso conoscitivo prescindendo da una conoscenza profonda dell’uomo, delle sue capacità, ma anche dei suoi limiti.

E partirono proprio dai limiti, che se praticati in modo errato e contro le leggi, civilmente possono diventare reati e religiosamente peccati.

L’imperfezione dell’uomo ha dettato il loro realismo. E’ per questo che mi sento profondamente consentaneo a loro.

Per finire questa sintesi porto un esempio attuale che sollecita un dibattito spesso assai poco dialogico, ma piuttosto intollerante e violento, quello sulla maternità surrogata, anche chiamata, con linguaggio deprecabile, “utero in affitto”.

Ascolto in tv la conduttrice di Tagadà, la signora Tiziana Panella, sulla 7, affermare che se una ragazzina figlia di due padri, perché concepita nel modo sopra indicato e poi adottata dal padre biologico e dal compagno di questi, alla domanda “come mai due papà?” (una domanda sgradevole ma plausibile), può rispondere “Sì, io ho due papà“, dice la verità. Ebbene no, signora Panella, la ragazzina NON dice la verità, ma una verità che è costretta a dire in base alla certezza che è stata adottata da una coppia di uomini, che in quanto tali non possono che essere, biologicamente, dei papà.

Verità e certezza sono cose diverse, così come non si può piegare la realtà alle nostre concezioni, ovvero, pieghiamola, ma cambiamo vocabolario, siccome il vocabolario è una convenzione tra umani e dunque si può modificare, così come illustra l’evoluzione storica di tutte le lingue e idiomi.

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