I giornalisti, anzi alcuni di essi, credono di essere il quarto potere, oltre Montesquieu e il Quarto Potere (cf. il film “Citizen Kane”) di Orson Welles. Io sono per una democratica, improntata al buon senso e alla buona educazione, “perimetrazione” del loro potere, che è enorme e a volte perfino ab-norme: in altre parole devono capire che il loro ruolo non è sostitutivo della politica, ma di narrazione intellettualmente onesta di ciò-che-accade nella politica, nella società, nell’economia, nella cultura, nel mondo… Vi sono però anche giornalisti di una specie quasi eroica, gli inviati speciali, che spesso a rischio della loro vita ci raccontano le cose più terribili che accadono nel mondo, soprattutto ai confini e spesso dentro le guerre, mentre noi facciamo tranquillamente colazione affacciati su un qualsiasi meraviglioso paesaggio italiano
Quando sento un giornalista che apostrofa un ministro della Repubblica, non con un normale ed educato “Signor Ministro, vorrei chiederle…”, ma con un secco e a volte burbanzoso “Ministro, senta… oppure, ministro le ho chiesto un’altra cosa“, mi ribollono un po’ le viscere, e mi verrebbe da chiedergli “Ma tu chi sei per parlare così a un Ministro?”
E non mi ribollono perché non ritenga che i media abbiano come precipuo dovere quello di far conoscere al pubblico ciò che accade, e di fornire con completezza e onestà intellettuale, curando acribiosamente le fonti, le notizie messe a loro disposizione dalle agenzie o derivanti dalle loro personali inchieste, ma perché mi sembra che spesso i giornalisti, per atteggiamento, modi e posture, ritengano di potersi mettere sullo stesso livello dell’alta autorità che stanno intervistando.
La cosa mi disturba, poiché quell’alta autorità rappresenta me e quasi altri sessanta milioni di Italiani, anche se non ho votato la forza politica che esprime quel ministro, mentre il/ la giornalista NON mi rappresenta, perché rappresenta solo sé stesso/a, le sue idee, e il mezzo di comunicazione per cui scrive.
Una volta a un ministro ci si rivolgeva con un ossequioso “Eccellenza“, peraltro ancora in vigore, mi pare, per l’apostrofe verso i prefetti. Non dobbiamo tornare al termine “eccellenza“, ma gli uni e gli altri cerchino di stare al loro posto, i giornalisti al loro, i ministri al loro.
Nei dibattiti e talk show televisivi ci sono giornalisti che quasi non ascoltano il politico invitato, se appartiene alla parte avversa per il giornalista, o addirittura gli parlano sopra con notevole aggressività e arroganza. Cinque nomi li faccio, quelli di Luca Telese, di Claudia Fusani, Gianni Barbacetto (l’irridente, beato lui), Tiziana Panella, saccente e antipaticuccia, arroganti – pressoché sempre – nei toni, e di David Parenzo, furbissimo e talvolta intellettualmente “sporcaccione”, specialmente se confrontiamo il turpiloquio (politicamente corretto) in cui indugia per Radio 24, ne La zanzara, assieme con Giuseppe Cruciani (che è comunque più credibile nella pornèia in cui si diletta e nel politicamente scorretto) con il tentativo (che non gli riesce mai, a mio avviso, pur essendo capace di ingannare qualche anima bella) di essere equanime tra destra e sinistra (per modo di dire) nella conduzione de L’aria che tira sulla 7. Grandissimo ipocrita Parenzo, che fa finta di scandalizzarsi quando commenta la maleducazione idiota di un fratellitaliota, tale Busnengo, che avrebbe dato del “pederasta” al dott. Stano del Ministero della Cultura, mentre a La Zanzara non si distingue da Cruciani, anzi lo supera in negativo, per turpiloquio e volgarità. Un vero immorale questo levantino furbissimo, spregevolmente immorale; dell’altra parte non sopporto Belpietro, Sallusti e Capezzone, che sono troppo ambigui o melliflui, oltre che anche troppo direttamente militanti (solo Sallusti allarga un po’, ma solo qualche volta, il suo scenario riflessivo). Come si può vedere quelli di destra mi occupano meno spazio, e ciò accede perché costoro sono meno adusi ed esperti, per ragioni storiche, alla potenza del mondo mediatico.
Se mi si permette, anche un parlamentare, di qualsiasi corrente politica è – ontologicamente – costituito da uno status superiore a quello del giornalista, perché è eletto dal popolo, e il giornalista ha lo status di qualsiasi lavoratore dipendente o autonomo, dignitosissimo, ma di livello diverso e inferiore, sotto il profilo istituzionale. Peraltro tutelato dalle leggi del lavoro, che in Italia sono molto stringenti.
L’espressione “Quarto potere” è stata adottata per designare la stampa e la sua influenza sull’opinione pubblica: un nuovo potere accanto a quelli tradizionali, legislativo, esecutivo, giudiziario. La fama di tale espressione è dovuta in parte alla popolarità del celebre film di Orson Welles Quarto potere (titolo italiano di Citizen Kane), che presso il grande pubblico è stato assunto come rappresentazione emblematica della forza esercitata dalla stampa sul pubblico dei lettori (anche se il tema fondamentale del film è piuttosto la riflessione sul mistero insondabile della persona umana e sulla sua complessità). Successivamente sono state coniate espressioni analoghe per designare la televisione (“Quinto potere“) e la pubblicità (‘Sesto potere’).
Circa il sesto potere ricordo qui lo spot di TIM che sta andando in onda in queste settimane, la cui frase guida, pronunziata dalla cantante Giorgia, è “La vita è una continua ricerca di emozioni“, frase che ritengo pericolosissima e diseducativa, specialmente nei confronti dei giovani, perché la vita è soprattutto altro da una mera ricerca delle emozioni (che comunque sono importantissime nel marketing commerciale), in quanto se così fosse, saremmo sull’orlo del baratro intellettuale e morale.
Oppure, restando nel settore della telefonia mobile, lo slogan di Vodafone risalente a qualche anno fa, che vedeva la bella attrice australiana Megan Gale esclamare con enfasi la frase, con toni e pronunzia anglosassone: “Tuttho inthorno a thei“. Una meravigliosa stimolazione all’egoismo autoreferenziale. Una schifezza.
L’espressione “Quarto potere” è – storicamente – nata in Gran Bretagna: nel 1787, durante una seduta della Camera dei Comuni del Parlamento Inglese, il deputato Edmund Burke esclamò rivolgendosi ai cronisti parlamentari seduti nella tribuna riservata alla stampa: “Voi siete il quarto potere!“
Nel secolo scorso, la straordinaria diffusione della tv, diventata la prima fonte di informazione per i cittadini dei paesi democratici, ha di fatto sostituito la carta stampata dei giornali quotidiani come principale medium attraverso il quale si forma la pubblica opinione, lanciando l’insieme dei mass media nell’agone della competizione informativa nella società.
Nelle democrazie, i media garantiscono riconoscibilità e aggiornamenti sulla vita politica, economica e sociale di un paese, poiché tra i diritti del cittadino vi è anche quello di essere informato con correttezza e completezza su tutto ciò che accade attorno a lui, e anche in suo nome (si tratta di uno degli elementi costitutivi della democrazia). Quando a fine Settecento il deputato Burke formulò l’osservazione di cui sopra, non intendeva porre in stato di accusa la stampa dell’epoca, ma semplicemente riconoscerne il ruolo centralissimo nell’ambito della vita sociale inglese, nel rispetto dei suoi ordinamenti che furono (questo va riconosciuto con chiarezza) un esempio virtuoso per il mondo e le nazioni del tempo, e per i tempi successivi.
Non vanno però taciuti i rischi per la democrazia che possono manifestarsi a seguito di un uso improprio di questo “potere”, ad esempio quello dell’accentramento delle proprietà, o di un numero ristretto di persone, dei mezzi stessi, come si può osservare nei tempi attuali in molte situazioni. Infatti, su queste vicende chi comanda i media tende a filtrare o a fuorviare, e perfino ad omettere o ad accentuare le informazioni, falsando il loro senso e significato, talora solo in parte e a volte anche del tutto.
Si pensi a come si comunicano quotidianamente da parte dei vari media le tragiche vicende della “guerra di Gaza”, che ha fatto seguito al pogrom di Hamas del 7 Ottobre 2023, o a seguito dell’aggressione russa all’Ucraina del 22 febbraio 2022.
Tutti e due gli esempi, oltre ad un’informazione corretta e completa sui fatti quotidiani, prevedono una necessaria e ineludibile conoscenza della storia antecedente alle due tragiche guerre.
La cosiddetta “Scuola (socio-filosofica) di Francoforte”, e anche intellettuali contemporanei come Noam Chomsky hanno definito certi mass media come di una fabbrica del consenso, a tutti i costi.
Spendo, di contro, la mia attenzione, la mia stima e il mio rispetto per gli inviati speciali, che spesso a costo della vita ci raccontano le cose più terribili che accadono nel mondo. Costoro sono la parte più nobile dei professionisti dell’informazione, senza il lavoro dei quali piomberemmo del tutto in un pericolosissimo caos informativo.
Più avanti scriverò dei giudici, sia di quelli eroici, ad esempio come i Siculi che ricordiamo sempre, ma anche di quelli che preferiscono emettere sentenze “pretermesse”, cioè pregiudiziali.
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