Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Il silenzio di Samatorça

Riflettevo stamani sulla mia esistenza e anche sulla morte, che tutti attende, avvalendomi del pensiero di Epicuro e di Agostino.

Il primo chiarisce come essa non ci può mai spaventare, perché non coincide con la vita nostra, e anche se dentro la vita si prepara, non convive con noi; il secondo spiega come l’essere della vita non può ammettere la morte, in quanto questa è privazione dell’essere vivente, e quindi non gli è immanente, ma si pone come non-essere.

La morte, dunque, non è in quanto essere, ma si manifesta (videtur) in quanto scomparire dell’essere (cfr. in G. Bontadini, 1970, e in G. Barzaghi, 2004).

Se Heidegger afferma che necessariamente in questa vita si-è-per-la-morte, ineluttabilmente, questo non significa che questo esser-ci esaurisca ogni possibilità e senso dell’essere, e tantomeno un essere-per-altra-vita.

Questi pensieri mi accompagnavano interiormente: “(…) nello sterminato archivio di memi, con la sua quasi ininventariabile versatilità di operazioni, mentre il cervello-mente umano ci appare (si appare ?) una giungla grande come il cielo” (Luigi Lombardi Vallauri, 2013).

L’anima operando contempla, intuisce, riflette, sale su nell’empireo e poi discende negli sprofondi, che qualcuno chiama inconscio. Opera nella direzione del trascendimento e dell’immanenza del desiderio, si ferma, ascolta, anzi ausculta in silenzio… Riorienta la vita dal futile e dal banale, e a volte si stanca, fino a quello che oggi chiamano burn out.

L’anima ricerca una convivenza armoniosa con se stessa e con gli altri essere senzienti, anche se, come insegna Hobbes, qualche volta si occupa di azzannare le altre anime incarnate.

Avrei bisogno di trovarmi, senza affanni e appuntamenti operativi, in qualche luogo discosto, silente, come tanti di queste terre e di quelle confinanti, come a Samatorça, dove il Carso si apre verso la valle del Vipacco.

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