Pericle, modello di capo senza imitatori odierni
Quando leggo dei grandi comandanti antichi, Ciro il Grande, Milziade o Pericle, mi assale come una specie di rabbia, o di tristezza, perché oggi non si intravedono neppure pallidi emuli di costoro.
Leggiamo il brano di un discorso di Pericle riportato da Tucidide ne Le Guerre Peloponnesiache, testo da far risalire al 430 a. C. circa. Da un anno, infatti, è scoppiata una sanguinosa guerra tra Atene e Sparta e loro alleati, che durerà un trentina d’anni: “Noi non abbiamo un sistema che non copia le leggi degli altri. Infatti, più che imitare gli altri, siamo noi il modello per qualcuno. Questo sistema si chiama democrazia, perché non coinvolge nell’amministrazione poche persone, ma la maggioranza dei cittadini. Nelle controversie private tutti hanno gli stessi diritti davanti alla legge; l’autorità si conquista in base al prestigio; nelle cariche pubbliche non si è preferiti in base al partito di appartenenza ma in base al merito; se uno può giovare alla città non è scartato né per la povertà, né per l’oscurità dei natali. (…) La nostra città è sempre aperta a tutti, senza nascondere nulla a nessuno, e non facciamo affidamento sui sotterfugi ma sull’innato coraggio che si manifesta nelle nostre imprese. Anche nel sistema educativo, mentre gli avversari, fin da piccoli, vengono educati all’eroismo con un addestramento durissimo, noi invece affrontiamo le avversità con uguale forza pur vivendo una vita rilassata, e amiamo affrontare i pericoli con signorile baldanza, piuttosto che con faticoso esercizio, e con un coraggio che non è frutto di norme ma del nostro deliberato modo di vivere. Noi amiamo il bello nella semplicità, amiamo la cultura dello spirito ma senza mollezza. (…) Abbiamo la dote singolar di agire con audacia più degli altri ma, allo stesso tempo, di calcolare freddamente ciò che stiamo per affrontare, mentre per gli altri è l’ignoranza che provoca ardimento e la riflessione che provoca titubanza. (…) In una parola, dico che la nostra città, nel suo insieme, costituisce un insegnamento vivente per tutta la Grecia e ogni ateniese cresciuto a questa scuola può sviluppare una personalità autonoma sotto molti aspetti, con destrezza e raffinato decoro“.
Così Pericle ai tempi classici.
Ieri Papa Francesco non ha degnato di uno sguardo i cinquecento politici che hanno partecipato in San Pietro alla Messa penitenziale.
Se ne è andato corrucciato lungo la navata, dopo averli duramente strigliati in tema di corruzione. Erano presenti da Gasparri alla Boschi, da Casini a Orlando, di ambo gli schieramenti, anzi di ogni partito. Lo sguardo di Casini ha seguito il Papa con una domanda implicita “Ma ce l’ha con me?”. Sì Casini, ce l’ha anche con lei. Che cosa fa lì lei da trent’anni a rimasticare sempre le stesse litanie?
Ma che teste avete? Ma che pudore avete? Conoscete il sentimento della vergogna? Ecco, il corruccio di Francesco vi ricorda la vostra miseria e io qui vi propongo la grandezza da voi ineguagliabile, di Pericle.
Perché non vi togliete di lì?
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