Il telefono
quando ero bambino, e mio padre era in Germania, ogni quindici giorni veniva a casa nostra la signorina del telefono comunale, e diceva a mia madre: “Gjgie, a misdi e miez a ti telefone Pièri, ventu in centralin?”. E mia madre si affrettava a prepararsi per la telefonata.
Andava in piazza dove le signorine armeggiavano con misteriosi fili inserendo i jack nei buchetti dei collegamenti urbani, extraurbani e internazionali. Poi arrivava la telefonata e lei entrava in una cabina insonorizzata per parlare con mio padre, che lavorava in una cava di pietra dell’Assia. Mi raccontava qualcosa, e qualcosa no.
Poi sono arrivati i telefoni a gettoni nelle micro-cabine che trovavi un po’ ovunque. E avevamo anche le cabine a chiamata nei bar.
Nel frattempo la Sip cominciava a installare i telefoni privati nelle case dei ceti popolari, e si pagava un canone anche per l’apparecchio. A casa mia è arrivato che facevo le superiori.
Verso gli anni ’80 hanno cominciato a diffondersi i primi cellulari. Il mio era un ‘Motorola’ grosso come un mattone, datomi come pagamento in natura per un corso, ma era il ’96.
Gli anni successivi hanno visto un’evoluzione vorticosa. Ora un cellulare somiglia a un computer, e io lo uso quasi come tale. Ho il mio blog, la mia chat line rapida di comunicazione gratuita e quella classica sms. Con mia figlia solo con la chat perché è gratuita, altrimenti quasi non mi risponde.
Fin qui tutto bene. Ciò che dà da pensare è l’uso che ne fanno le ultime generazioni, quelle dei “digitali nati“, che ne sembrano letteralmente condizionati, anzi in qualche modo lo sono. Infatti non riescono a staccarsene un attimo, sempre “connessi“, collegati con altri, ma non in relazione, semplicemente in comunicazione, a volte (anzi spesso) vittime o talora carnefici spirituali.
Che si tratti di una mutazione antropologica, di un “incidente congelato” capace di ridefinire gli stessi confini, modi e intrecci della relazione? Anche su questo tema, senza demonizzare lo strumento, la consapevolezza ci aiuta. La consapevolezza come prima condizione per comprendere, per capire, per condividere e con loro (i giovani) convivere, senza invadere la loro strada.
Il tele-fono, come voce-che-arriva-da-lontano.
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