Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Ragioni emozionate o emozioni ragionevoli?

alpini per sempreUn altro ossimoro agostiniano? Due? Le neuroscienze contemporanee, quando non debordano sul versante meramente biologistico, sono molto interessanti come punto di riferimento interdisciplinare per una buona antropologia. Giustamente alcuni autori rimproverano un eccesso di “spiritualismo” mutuato dalla psicologia filosofica platonico-cartesiana, che da duemila e quattrocento e da quattrocento anni quasi sta costituendo una delle due linee fondamentali del pensiero filosofico occidentale.

Ma io son convinto che si tratta di “vulgate“, perché né Platone né Descartes sminuivano il ruolo fondamentale della corporeità, in tutta la sua materialità: semplicemente hanno indicato con forza l’elevatezza delle possibilità di astrazione del pensiero umano, incommensurabilmente diverso dagli psichismi degli altri animali, perché esplicitamente, linguisticamente autoconsapevole e capace di relazioni comunicanti, di intersoggettività consapevoli, di intercorporeità volontarie, e non solo determinate dall’istinto di sopravvivenza.

Vi è però da tenere presente anche l’altro formidabile filone filosofico-antropologico e psicologico che fa capo ad Aristotele, ad Averroè e a Tommaso d’Aquino, il realismo temperato e capace di tenere insieme pensiero e mondo, conoscenza e cosa conosciuta: idem est actus cognoscentis et cogniti! Capace di affermare la possibilità di penetrazione reciproca dell’intelletto e della cosa, intellectus et rei.

Un testo molto interessante di Michael Brady, (Emotional Insight: the Epistemic Role of Emotional Experience, Oxford University Press, 2014), approfondisce il tema delle emozioni come ambiente capace di completare la sfera cognitiva dell’uomo. Le emozioni possono correggere un eccesso di deduzione logica derivante dalle percezioni, sempre che si sia vigili e si eviti un loro dominio sul processo argomentativo. Un esempio: il film americano del 1957 La parola ai giurati, (Twelve angry men), nel quale uno di loro si mette di traverso a una sentenza che sembrava già scritta, denunziando il pregiudizio, il livore contro l’imputato, che era emerso dai ragionamenti emotivi dei colleghi. Lui aveva avuto un dubbio, e così l’aveva instillato anche in loro, fino a rivedere insieme l’esito del pronunciamento penale. Anche lui aveva provato un’emozione, ma aveva saputo temperarla con il dubbio, aveva temuto il pre-giudizio (giudizio incompleto perché frettoloso), ed era intervenuto allargando la sfera cognitiva della giuria.

L’emozione può avere una valenza epistemica importante nell’ambito relazionale, quando si accetta che il rapporto abbia anche una dimensione empatica, e non sia solamente un contatto funzionalistico o gerarchico. Nelle organizzazioni, e in quelle aziendali specialmente, lo si può riscontrare nel quotidiano. Ogni giorno o quasi, nella mia esperienza. Se qualcuno dice solo cose, parole come “operatività“, “mi interessa l’operatività“, bypassando la qualità relazionale, che può essere pessima, bisogna fermarla, educatamente, dicendole che “le parole sono pietre, e anche gli sguardi “, e a volte è necessario “tornare indietro“, guardarsi negli occhi e ammettere che si nutrono pregiudizi, false opinioni, che si è stati pigri nell’ascolto e sordi alle ragioni degli altri.

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