ingordigia e sobrietà
il termine ingordigia di solito rinvia al comportamento di chi non ha mai abbastanza di cibo, al vizio capitale della gola, quindi.
In realtà, il concetto di ingordigia è più significativo nella sua accezione metaforica, concernente un mai sopito e insaziabile desiderio di accumulare sempre di più, beni, ricchezze, proprietà, soprattutto nella forma del denaro.
Suoi sinonimi o paronimi, se di cibo: voracità, insaziabilità, famelicità, ghiottoneria, golosità; se di denaro: brama, bramosia, cupidigia, avidità.
L’ingordigia, se si declina come gola fa ingurgitare cibi in modo abnorme e superiore alle necessità della persona. Un film eponimo da rivedere (per chi ha stomaco) è La grande abbuffata di Marco Ferreri. Esempio di sfrenatezza e di lascivia. Vizio capitale considerato grave fin dai tempi di Evagrio Pontico e Gregorio Magno, trattato da Tommaso d’Aquino nella Summa Theologiae (II-II q. 148), collegato strettamente alla cupidigia, di cui costituisce la dimensione più crassa ed evidente.
Vizio antichissimo ispiratore perfino di miti, come quello di re Mida, che trasformava in oro tutto ciò che toccava, non potendo più a un certo punto neppure nutrirsi.
Ora il pensiero va a tutti i corrotti che non ne hanno mai abbastanza, di prebende, tangenti, regali, e allignano in ogni dove: nella politica, nell’economia, perfino nella magistratura, nel clero stesso, come se l’accumulazione senza sosta di ricchezze li preservasse dal destino comune di tutti gli uomini: quello di invecchiare e morire.
Constato quotidianamente,vivendo in affitto e accingendomi ad un trasloco, che possediamo sempre troppe cose acquistate un tempo, usate per un po’ e poi dimenticate, come vecchi bambini mal cresciuti.
Anche a me piacerebbe una moto, piccola, per l’estate, ma quando avrei il tempo per usarla? Non ho i soldi per comprarla, ma mi toglierebbe il tempo che oggi dedico alla bicicletta e al footing. Non serve, dunque. Non contribuisco ai consumi? Bene, ma proporziono i miei consumi alle mie scelte di vita.
In realtà a ognuno di noi basta molto poco e la virtù più utile sembrerebbe essere la sobrietà, come recupero delle cose essenziali, e perciò più vere, più giuste, più utili, più moralmente accettabili.
La sobrietà dispone l’anima all’attenzione verso ogni altro, ogni io che vive su questa terra. L’ingordigia allontana e crea tristezza, la tristitia mala degli antichi.
Essere contenti è più umano che essere felici, e la sobrietà concorre alla contentezza, che è un accontentarsi-del-giusto.
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