imbecillitas
ier mi portava in un local taberna de la cittade furlana. Eromi seduto in attesa dell’oste voglioso d’un gelato ai gusti lattei, come nocciola.
Presa in man la “rosea gazzetta” per veder le imprese dei nostri pedalatori in terra di Francia, m’accingeva a piacevol lettura de li scrivani specialmente versati a narrar d’epiche imprese in contrade lontane e talora inimiche, ché la terra dei Franchi occidentali in tempi alterni è.
Or dunque leggeva delle celebrate imprese di un tal giovinotto bruno, nomato imperiosamente come “Squalo dello Stretto”, ma anche su di lui bieche insinuazion che prenda potaggi strani per crescere in vigoria per le vittorie. Altre fiate ciò accadde, e anche per li pedalatori transalpini: memoria mi trasfonde un nome, quello di un magro eroe delle montagne, aquila pirenaica, umanissimo peccatore, Virenque.
Ben, ti dico, magnanimo lettore nell’afa che ottunde i sensi. Un romore inaudito mi penetrò le orecchie mie: da radio diffuse onde che pretendevano esser musicali. Repente m’adontai e uscii di fretta e furia concionando, gelatier in mano, a sedermi fora, nel silenzioso antemural de la strada, dove rare carrozze a motore passavano, a quell’ora ostile.
E mi dimandai: perché necessita, in ogni taverna o local ove accede un libero cittadin de la contrada o forastiero, perché occorre che vi sia romore, e “musica” qual sozze urla e strepiti e lo peggior disturbo per chi cerca un poco de ristoro?
Ovunque accade. Ovunque. E’ come la guerra, suprema stupiditate umana. Le urla, il chiasso, le bombe, l’arrogante porsi de la scimmia ignuda! Quanta imbecillità, protervia! Che si tratti, onorevole lettore, di un tempo, il nostro, ancora arcaico, e dunque poco aduso alla sapienza, che pur viene di lontano?
Dove sono li augusti pensatori d’un tempo, quando i nostri (Vattimo professor emerito in primis) insultano popoli interi augurando loro l’estinzione?
Dove son Parmenide il severo ed Eraclito di Samo, Platon Magno, Aristotele e Epicuro? Dove Marco Aurelio e Marco Tullio e Lucio Anneo? E Augustin con Abelardo e Tommaso, Bonaventura e Guglielmo e Galileo? Dove son Goffredo, Renato e Benedetto, dove Giorgio Federico Guglielmo e Emanuele? Dove Arturo, l’altro Federico e Ludovico l’austro? Dove Martino e Edmondo e Carlo, dove? E Sigismondo e Carlo il medico dell’anima, dove?
Dove Giacomo, il piccolo uom di Recanati, nobile di casata e d’anima su tutto? Son scomparsi? Non abbiamo eredi degni della nomea di quei grandi pensatori, scimmie dolenti?
A nulla son valse le guerre del secolo ventesimo, a nulla la miriade d’altre contese, di sangue e denari, e per l’olio nero e quello giallo, e quello azzurro e verde e color terra di Siena naturale?
A che l’apparecchio volator che cadde, abbattuto sulla “terre nere” da altre nude scimmie in guerra? A che i bambini maciullati ovunque? A che le donne ferite, trascurate, morte di parto e di vendette ferine?
A che son servite e servono convegni come quello delle Unite Nazioni disunite? E quello della vecchia Europa dei denari?
Che l’imbecillità nasca dall’ottundimento dei sensi? Dei sentimenti? Dei pensieri che anche il romore insulso e di per sé imbecille nutre?
Oh Dio buono, che sei ovunque e là dove t’invoca l’inclito e il culto umile, aiutaci!
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