La politica malata
qui non mi riferisco all’antica e nobile politèia di aristotelica o periclea memoria, né alla lezione moderna della filosofia demo-liberale anglo americana. Mi riferisco al tran tran nostrano, che si barcamena tra l’immarcescibile Silvio, l’inutile Vendola, il Grillo fritto, gli sterili bersandalemacuperlofassina e il guasconeggiante giovin fiorentino che, pur non piacendomi come persona e atteggiamenti, sostengo come minus malum et possibile, si vis, paucum bonum (direbbe Tommaso d’Aquino).
Ma ancor di più mi riferisco alla politica come concetto comune, come polisemia del comportamento organizzativo delle aziende, degli enti e delle chiese locali.
Mi riferisco all’idiozia del politicamente corretto e delle convenienze, per le quali, appunto, se conviene una certa scelta a chi comanda al momento, la si compie, indipendentemente dal merito della questione, dalle persone in campo e dai risultati attesi. Accade questo: se tu sei funzionale all’attuale conducator, vieni prescelto e messo lì, ma se non lo sei, neppure ti guardano, anche se sei un potenziale Nobel, premio comunque politicamente corretto, e quindi spesso iniquo: basti pensare al premio conferito ad Obama, rob de matt, direbbe Gianni Brera redivivo.
Un esempio: in un paese della Bassa furlana inventano un dibattito a trois sulle religioni monoteiste (termine oltremodo ambiguo) tra un imam, un rabbino e un… cattolico, per cui invitano -correttamente- un imam, un rabbino e… un maestro elementare laureatosi in lettere in terz’età. Giusto: quest’ultimo è un esponente della Diocesi di riferimento, e di essa prode baluardo.
Come se a un convegno sugli stili architettonici contemporanei del mondo si invitasse Kenzo Tange, Le Corbusier e… un geometra o un perito edile italiano, invece di Vittorio Gregotti. Così vanno le cose del mondo, anche se, magari, dietro l’angolo, se non Gregotti c’è un altro architetto-ingegner esperto di costruzioni.
Meglio il geometra, se è politicamente corretto.
Ita mundus procedit.
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