L’utilità marginale
Dal web: “L’utilità marginale di un bene è concetto cardine della teoria neoclassica del valore in economia, ed è definibile come l’incremento del livello di utilità, ovvero della soddisfazione che un individuo trae dal consumo di un bene, ricollegabile ad aumenti marginali nel consumo del bene, dato e costante il consumo di tutti gli altri beni. (…) Il “paradosso dell’acqua e dei diamanti”, più comunemente associato ad Adam Smith, sebbene riconosciuto a pensatori precedenti, è l’apparente contraddizione che l’acqua possiede un valore di gran lunga inferiore a quello dei diamanti, anche se l’acqua risulta essere vitale per un essere umano. Il prezzo è determinato sia dall’utilità marginale che dal costo marginale: la chiave per il “paradosso” è che il costo marginale dell’acqua è di gran lunga inferiore a quello dei diamanti. Questo non vuol dire che il prezzo di un qualsiasi bene o servizio è semplicemente l’utilità marginale che ha per un individuo, piuttosto, gli individui sono disposti a negoziare sulla base delle rispettive utilità marginali dei beni che hanno o che desiderano, dunque i prezzi risultano vincolati da tali utilità marginali.”
Questa dottrina economica ha anche una grande valenza antropologica e morale. Non vi è dubbio che le nostre azioni, connesse con i “beni” (materie prime, altre persone, etc.) che utilizziamo o con cui collaboriamo, assumono “valore” dal contesto nel quale si realizzano e in relazione ad ulteriori “beni” prodotti per vantaggi condivisi. In qualche modo, economizzare le nostre energie, il nostro tempo, il nostro impegno, altro non è che imitare intelligentemente e utilmente la natura stessa, che agisce secondo un senso intrinsecamente utilitaristico. Ma questo “utilitarismo” naturale è ben lontano dall’egoismo presente in molti “atti dell’uomo”, che tende a massimizzare soggettivamente i benefici del suo proprio agire, spesso senza curarsi del benessere altrui.
L’utilità marginale, dunque, si pone come un obiettivo nel quale si ricompongono gli interessi dei singoli e quelli comunitari (termine che preferisco a quelli del campo semantico di “collettivo”), contemperando i diritti tra eguali in valore e le aspirazioni legittime delle diverse personalità autoconsapevoli dei singoli soggetti umani.
Concentrarsi sull’utilità marginale dell’agire umano dà risposte anche alla dimensione emotiva del cosiddetto “lasciarsi andare”, che in questo modo assume una denotazione armoniosa e convincente, ben lontana da un generico abbandono all’emozionalità del momento, fuori da ogni controllo ragionevole di una psiche equilibrata e connessa. Ragione e sentimento, allora, possono essere non tanto poli contrapposti, ma sponde in grado di contenere il flusso esistenziale che di essi si nutre, in essi respira, da essi si muove nel tempo e nel mondo.
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