Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

in viaggio tra l’empiria e l’imperfezione imparando l’umiltà

in viaggioCaro lettor paziente,

la scienza si è mossa fin dai suoi inizi mossa, da un lato tra assiomi (Pitagora, Euclide, etc.) geometrico-matematici, molto assimilabili alle “idee” platoniche, e, dall’altro su una sperimentazione per prove ed errori (da Aristotele in poi). In generale essa allora utilizzava categorie filosofiche (di philosophia naturalis) e teologiche. In astronomia dopo il Mille si rivelò durissimo lo scontro tra la visione biblica e quella scientifica che si stava sviluppando, ma in maniera multiforme e come si osserva anche in ambienti ecclesiastici: fu infatti uno dei fondatori dell’Università di Oxford, Roberto Bighead, un francescano, a proporre l’ipotesi eliocentrica duecento anni prima di Copernico e quasi quattrocento prima di Galileo.

Intendo, come si vede, questi cenni riferiti alla cultura occidentale, ché quella orientale merita conoscenze diverse dalle mie.

Quasi mezzo millennio fa, con Bacon, Galileo, Descartes tra i maggiori, si verifica il distacco radicale tra  saperi filosofici (e teologici) e quelli scientifici: a questo proposito sono emblematici i processi celebrati presso l’inquisizione romana nei confronti di Giordano Bruno e del Galilei, conclusisi in modo differente, ma altrettanto testimonianze significative della cultura del tempo. Oggi si parla tanto di libertà di ricerca, ma bisognerebbe ricordare che solo quattrocento anni fa…

Oggi, “scienza” (intesa nell’accezione galileiana, non aristotelica di epistème) e filosofia percorrono strade diverse , a volte del tutto distaccate se non di reciproca ignoranza o addirittura di una competizione, assolutamente assurda, soprattutto in ambito biologico e neuroscientifico.

In generale, peraltro, le scienze fisiche, che sono le più “dure” (direbbe Dilthey ) stanno complessificandosi in diverse dottrine generali (tra quella quantistica e quella relativistica, in ricerche dove sono presenti molti scienziati italiani!) che paiono sempre di più evocare quasi l’antica metafisica: infatti, la fisica a volte sembra sottendere, l’antica domanda sull’essere, quando ad esempio si chiede che cosa sia la “natura” e la funzione della “materia oscura” nell’equilibrio del cosmo, e così via.

In ambito biologico e neuro-scientifico, per contro, assistiamo a un dibattito feroce, dove si schierano truppe fieramente armate a difesa, vuoi -su un versante-di un innatismo da “tabula rasa” (ad es. tutta scuola comportamentista da Watson e Skinner in poi), per i quali la formazione della “scimmia nuda” (cf. D. Morris, G. Giorello e E. Boncinelli, tra molti altri) è solo questione di condizioni ambientali e  di educazione, vuoi – su un altro versante- di genetismo evoluzionistico assoluto, per cui ogni umano è determinato ad essere-quello-che-è dalla sua filogenesi. Questa seconda area critica, oltre ad essere, come la prima, piuttosto apodittica, pone anche non banali questioni di carattere etico, legate soprattutto al tema del libero arbitrio. Ripeto spesso che se fosse “vera” in assoluto la teoria genetista pura, verrebbe meno l’Etica umana e il Diritto sviluppatisi negli ultimi quattromila anni. A dire il vero anche un grande filosofo europeo (Baruch Spinoza) che a modo suo, con il tipico argomentare latino del ‘6/700, sembra concordare: basti pensare al suo trattato di morale “Ethica more geometrico demonstrata“!

Altro tema delicatissimo interpellante oggi le scienze biologiche (genetica, medicina…), ma anche la filosofia morale e del diritto, sono le questioni bioetiche sulle quali spesso si assiste alla danza macabra delle prese di posizione ideologiche, l’ambiente culturale più devastante, inutile e distante da una messa in questione dei vari temi (nascita, morte, fecondazione assistita, ambito medico-giuridico-morale del fine vita, etc.).

Ecco, su questi campi di altissima rilevanza morale, come su altri: ecologia, uso del territorio, rapporto sano tra ecologia ed economia, dovrebbe sempre più svilupparsi un dibattito tra epistemologie e saperi diversi, tra filosofia e scienza, anche per offrire alla politica strumenti conoscitivi migliori per l’assunzione di decisioni sagge e lungimiranti per il bene comune.

Scrivo queste note da un letto d’ospedale dove sto misurando due tipi di limite, appartenenti rispettivamente alla struttura antropologica dell’uomo e all’organizzazione sociale (e sanitaria in questo caso).

Alla struttura sanitaria il mio caso difficile insegna che i “protocolli” non bastano, per cui va sempre considerato ogni caso a sé, per capire, conoscere e comprendere ciò che vada implementato e personalizzato del protocollo stesso. L’impegno professionale e morale di chi è intervenuto è fuori questione.

A me insegna molto sul piano morale e personale: a non pensare che la mia straordinaria stagione di vigoria apparentemente indefettibile, durata oltre sessanta anni, senza malanni degni di questo nome (zero notti ospedaliere fino a quattro mesi fa, ora sono tre), è una stagione in cambiamento, come tutto dell’uomo e del mondo, ferme restando strutture sostanziali come la capacità dell’autoconsapevolezza e la perennità metafisica degli eventi.

La virtù interpellata e richiamata alla mia riflessione è stata quella dell’umiltà.

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