la memoria perduta e ritrovata
Il bosco è sempre là sopra, sulla collina, e il vecchio (o la vecchia?) lo sapeva, anche se la sua lucidità perdeva colpi, da un po’ di tempo.
“Portami su al bosco, chiese alla figlia (o alla nipote?), ché così ti canto un po’ di canzoni”,
“Sì papà (o mamma o nonna), volentieri, aveva risposto lei, son contenta di sentirti cantare”.
Seduto (forse seduta) sulla carrozzella, perché oramai camminava poco e con fatica, guardava il paesaggio mentre la figlia-nipote lo (o la) sospingeva su per la strada asfaltata, non molto ripida, che portava al bosco sulla collina. Il tempo era cambiato e l’autunno aveva cominciato il suo lavoro con la tavolozza di tutti i colori più caldi, dal giallo chiaro al marron scuro, continuamente cangianti senza dimenticare alcuna sfumatura, e le foglie tremolavano a una brezza leggera, di tanto in tanto staccandosi per voltolare lentamente fino a terra.
In qualche angolo e nei fossi le foglie cadute avevano già formato dei piccoli mucchietti colorati, anche sotto i pali della luce, dai cui fili le ultime rondini si stavano radunando per partire verso terre più calde e lontane. Una specie di nostalgia prendeva l’animo delle due persone che salivano, per tempi passati e per parola non dette, rimaste in gola, quasi uno struggimento.
L’anziano o anziana che fosse si guardava attorno finché cominciò a cantare: di bocca uscì stranamente un canto foresto, per quella terra furlana: “La mula del Parenzo… ecc. ecc.”, ma cosa canti? dai…
“Perché non cantiamo quelle vecchie canzoni di guerra o dei partigiani, o quelle nenie bellissime delle valli, quelle che risuonano ancora a Resia o nei più remoti villaggi dell’alto Natisone, dell’Erbezzo e del Cosizza?”
I due presero a cantare sommessamente mentre la carrozzina saliva verso il bosco sulla collina, e intanto lentamente scendeva la sera, ma il tempo era benigno, il vento leggero e tiepido perché, quando zittirono, i rumori della natura erano ricomparsi come d’incanto: la brezza e le foglie, qualche chioccolio di uccello, il lontano abbaiare di un cane, remotissimi motori nelle strade che portavano a nord.
Le parole delle vecchie canzoni cominciarono a sgorgare dai precordi dell’anima e la memoria cominciò a dar forma a melodie antiche.
Non so bene chi mi abbia raccontato questa storia, forse più persone, nel tempo, e io ho fatto un po’ di confusione: non so se lei, la giovane, era figlia o nipote, non so se la persona anziana fosse un nonno o una nonna, o un vecchio papà.
Non so se la storia sia di un sogno sognato e riemerso per misteriosi meandri mentali, non so se l’inconscio mi abbia rappresentato nei due personaggi, o in uno di loro. Come sempre, il racconto è frutto di fantasia ed esperienza ed è vero di una verità profondissima, come la parola, ché tutto è nato e nasce, sempre, dalla Parola.
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La forza. La forza incredibile della Parola…
La parola, in un qualsiasi racconto che proviene dall’anima, è capace di far viaggiare rimanendo immobili, ma solo in quelle menti e cuori puri.