i cavalieri delle lunghe ombre
Stacy Keach e i fratelli Carradine cavalcano nella polvere e nella pioggia, lenti e decisi. Sono la banda di Jesse James, diretti da Walter Hill.
Fino alla fine, 1980 il film.
Bob Dylan canta del Kid mentre lo sceriffo Pat Garrett cavalca malinconico dopo averlo ucciso, l’ultimo sguardo di Kris Kristofferson è sorpreso… James Coburn se ne va. Sam Peckinpah, 1973 il film. Voglia di western questa sera per lasciare la fantasia al suo potere inventivo, agli spazi infiniti confinanti con monti lontani e azzurrini, piste perdentesi nell’indistinto…
Non vincerà mai la disperazione, neppure nei momenti più oscuri, come quelli che viviamo.
Amo il western per la sua asciuttezza narrativa, per il suo narrare silente, fatto di orizzonti e di acque scroscianti, per i suoi personaggi essenziali ed erratici, per la verità dei sentimenti elementari e l’assenza di bardature mentali, perché è ideologicamente scorretto.
Le altezze non sono gradite a chi ama traccheggiare per le bassure del consenso e dell’assenza di ogni pericolo, a chi preferisce l’andamento lento del “vai avanti tu che a me viene da ridere”, a chi cerca ogni scusa per non prendere posizione, a chi si adegua alla situazione qualsiasi essa sia, a coloro che sono sempre d’accordo prima di avere discusso sostenendo le proprie idee, a chi evita di scontrarsi ogniqualvolta si presenta l’occasione di difendere una posizione anche a costo di pagare qualche prezzo, a chi teme di perdere anche quello che non ha, a chi non ha il coraggio di opporsi all’arroganza e alla stupidità violenta, a chi è debole con i forti (o supposti tali) e arrogante con deboli, a chi non è magnanimo, a chi non legge perché teme di diventare indipendente nel giudizio.
Amo dunque Tex Willer e i suoi pard, Carson, suo figlio e Tiger Jack, le cui fronti sudate non temono di stare di fronte agli assassini, e apprezzo perfino le figure sbagliate di William Boney, il Kid, e Jesse James, e quelle un po’ ambigue di Wyatt Earp e Doc Holliday, perché vere, senza la patina fasulla dell’andare d’accordo a ogni costo.
Questo è il valore della cultura occidentale, della libertà di giudizio e di scelta, e per questo è imbattibile da ogni fanatismo.
Ma amo anche il valore della cultura dei nativi d’America, quella di Cavallo Pazzo, che morì a tradimento dopo aver sconfitto la boria di Custer. Crazy Horse, uomo giusto, ora galoppa nelle celesti praterie del Grande Spirito, come Nuvola Rossa, Geronimo e Sitting Bull, il Tatanka Jotanka.
Non mi sono estranei i mistici ebrei del Medioevo e i sufi musulmani, che nulla hanno a che vedere con i pazzoidi delle cellule terroriste che bestemmiano su Dio e sul jihad, battaglia interiore da combattere e da vincere contro l’egoismo e l’istinto di sopraffazione.
Non mi è estraneo nessun uomo o donna che vive intensamente la sua (forse) unica vita terrena, guardando negli occhi chi gli sta di fronte, “camminando e cantando la stessa canzone/ siamo tutti uguali/ chi è d’accordo e chi no (Endrigo, 1970).
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