la presenza e l’attenzione
Essere “presenti” non è scontato, perché la presenza e l’attenzione sono un impegno psicologico e morale. Perlopiù si fa finta di stare attenti, ci si atteggia presenti, perché l’attenzione costa una fatica improba, ma se non si sta attenti gli altri se ne accorgono, perché il nostro corpo non finge come le nostre parole, che possono essere menzognere. Il corpo non mente, perché è autonomo rispetto alla nostra fragile e cagionevole volontà. La presenza e l’attenzione sono due momenti contigui, che si toccano l’un l’altro: senza l’attenzione all’altro, a quello che dice l’altro, non vi è neppure vera presenza, ché essa appare solo come ingombro fisico, null’altro.
L’attenzione è un essere presenti con il cuore, perché quando si è attenti il cuore è lì, non altrove, in altri affetti o interessi: tutta la nostra persona, anima e corpo si dedica alla presenza attenta, e manifesta così la sua completezza e maturità. Coloro che non sono attenti all’altro, superiore o “inferiore”[1] che sia, esprimono una sorta di insicurezza, di disagio, di ansietà che può risultare incomprensibile e fastidiosa all’interlocutore.
Non possiamo non sapere che “c’è un tempo per ogni cosa”[2] e che abbiamo tempo oltre a quello dedicato all’attenzione per l’altro che ci parla; non vi è alcun dubbio di ciò: abbiamo bisogno di ricordare sempre la “tecnica dei due sguardi”.
Io devo continuamente tenere conto dello sguardo progettuale, quello sul futuro a breve/ medio, ma soprattutto lo sguardo sull’oggi, anzi sul “qui e ora”, ché è l’unico tempo e luogo vero che vivo. La mia verità di essere umano vivente abita il mio presente continuativo: “sto ascoltando, sto parlando… sto vivendo”. Altro non ho, altro non sono.
La presenza e l’attenzione hanno anche il potere di trasformare i “nonluoghi” (cf. Marc Augè) contemporanei, come supermercati e aeroporti, in “luoghi”, dove un essere umano si può riconoscere come tale, se un altro essere umano gli dedica un poco di attenzione.
Non vi è altra strada se non quella di incontrare l’altro, proprio per essere, anzi diventare, quello che si è. Se non vi è attenzione non vi è presenza, ma solo l’arroganza di chi, prima o poi, rimarrà solo.
[1] Per ruolo, s’intende!
[2] Qoèlet 3, Bibbia di Gerusalemme, EDB, Bologna 1980, p. 1344.
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