Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

iloti, meteci, paria, plebei e liberti

plebeiCaro lettor mio,

nel giorno del Sol invictus e del venire al mondo di Cristo, io mi onoro di appartenere -prevalentemente e  in qualche modo- a tutte e cinque le classi (e caste), o ceti, o censi sociali del titolo, per queste ragioni:

a) sono un ilota… gli iloti (gr. antico Εἱλῶται o Εἱλῶτες) a Sparta erano una classe popolare ridotti in schiavitù. Erano forse discendenti degli antichi Laconi prima che arrivassero i Dori verso il X secolo a. C.. Pare che l’etimologia del nome derivi da Elo, una città della Laconia conquistata da Sparta. Un’altra ipotesi fa derivare la radice el dal significato di “prendere”: gli iloti come “conquistati”; se non io i miei avi sono stati degli iloti;

b) sono un meteco… i meteci, (gr. antico μέτοικος metoikos, pl. metoikoi), erano così chiamati in quanto stranieri residenti nelle città-stato greche (le pòleis), per un periodo di almeno un anno; ciò era più diffuso nell’Attica; erano obbligati a iscriversi in liste per distinguersi dai cittadini e dovevano anche trovarsi un protettore, il prosseneta, il prostates (προστάτης), nonché a pagare il metoikion (μετοίκιον), un’imposta diretta sulla persona. Nella tripartizione delle classi, i meteci erano collocati in una posizione intermedia tra i cittadini e i non liberi, e non potevano possedere beni immobili come i cittadini liberi. “Il metoikion consisteva in 12 dracme per gli uomini e 6 dracme per le donne che vivevano da sole.” (dal web) Sono e resto un meteco;

c) sono un paria… i  paria o dalit (o erroneamente intoccabili, ma la traduzione corretta è oppressi) sono i fuori casta o 5a casta nel sistema sociale e religioso induista. Il Mahatma Gandhi chiamava dalit i più poveri ed emarginati come agli Harijan, cioè “figli di dio”. Il diffuso termine paria è il singolare della parola paraiyar. “Il termine “dalit” in sanscrito (radice dal) significa spezzare, spaccare, aprire.” (dal web) Anche paria sono, talor…

d) sono un plebeo… i plebei (singolare plebeo, lat. plebs, plebis) nell’antica Roma erano i poveri tra i cittadini romani, distinti dai ricchi patrizi. La tradizione fa risalire addirittura allo stesso Romolo (cf. Dionigi di Alicarnasso) la suddivisione sociale, attribuendo ai patrizi l’appartenenza  in base alle disponibilità economiche e alla nobiltà di schiatta. Tito Livio scrive che Romolo nominò cento senatori, detti “patres” (e patrizi i loro discendenti), sulla base della loro dignità morale. Io invece sono un plebeo, perché non derivo da nobile schiatta e a volte son turpiloquo.

Bene: sono ilota, forse meteco, paria e plebeo. Nessun problema, anzi. E ciononostante mi trovo bene anche con i ricchi di loro, ma con quelli che non se la tirano come spesso si nota nella borghesia professionale, quella che si presenta per cognome, mogli di avvocati, di medici, di… stronzi.

E a volte mi incazzo con certi “poveri”, con certi “handicappati” e con certi “piccoli di statura”, che in qualche caso sono cattivi, facendo io così magari inquietare (non in-cazzare, troppo vulgaris)  la principessa dei politicamente corretti, cioè la presidenta della Camera dei Deputati.

Perché alla fine sono libero, o sono stato liberato, sono un liberto, dopo, tutto quello che i miei avi mi hanno trasmesso fino a ora, e da qui continuo consegnando a chi viene, tutto quello che sono, a mia figlia e agli altri ragazzi che incontro. E son contento di tutto, fino al transito, fino alla luce senza fine.

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