La malattia relazionale
Molte specie animali vivono in relazione tra simili, anzi, su questa relazione, strettissima e organizzata, basano la loro sopravvivenza. Basti pensare alle api e alle formiche, ma anche ai lupi e ai licaoni, come ci spiegano bene gli etologi.
E così funziona anche l’animale umano, il più intelligente e crudele di tutti gli animali, ovvero, caro lettore, prendi i due termini “intelligente” e “crudele”, come metafore di un qualcosa che è difficile da dire, se l’intelligenza è una caratteristica condivisa, anche se diversissima, tra homo sapiens e gli altri animali, mentre la crudeltà appartiene solo all’uomo, in quanto scientemente feroce e spietato.
Dicevamo della relazione. Bene, questa dimensione esistenziale caratterizza radicalmente gli esseri umani e la loro convivenza, così come la loro lotta. Nei conflitti e nelle guerre, simmetriche o asimmetriche che siano, che tipo di relazione si stabilisce? Una relazione reciprocamente distruttiva.
Constatiamo però che, nonostante tutte le guerre, registrate o meno dai documenti storici, se siamo ancora qui, come umani siamo anche riusciti a stare in pace, in qualche modo, e per qualche tempo, per riuscire a sopravvivere alla nostra stessa crudeltà.
L’imperatore Cesare Augusto, forse il politico di maggior spessore di ogni tempo, dopo le guerre esterne e quelle civili che combatté, riuscì a garantire a Roma un periodo pacifico di quasi mezzo secolo; dopo la Seconda Guerra mondiale che aveva visto scannarsi tra loro i civilissimi popoli europei, e altri popoli, per la seconda volta in vent’anni, in Europa (occidentale) vi è pace da settant’anni.
Nel frattempo i mezzi di comunicazione si sono moltiplicati e potenziati in maniera geometrica, sviluppando i canali della comunicazione all’ennesima potenza. Ciò, ad un’osservazione superficiale, avrebbe dovuto migliorare anche le relazioni di tutti con tutti e con ciascuno.
Pare invece stia succedendo il contrario. Infatti si ha come la sensazione che le relazioni intra-umane siano profondamente in crisi, incapaci di uscire da un viluppo nel quale sono cadute, forse proprio anche a causa di un eccesso di comunicazione.
Un mio caro collega mi faceva notare che se un tempo avevamo il telefono fisso, oggi siamo fissi sul telefono (cellulare), e non è un bel guardare, e un bel pensare a quello che sta capitando all’animale umano.
Pare che i rapporti tra le persone, l’attenzione per gli altri, la concentrazione verso un interlocutore, siano inversamente proporzionali alla nostra acquisita e sempre più efficiente possibilità di comunicare.
Più comunichiamo, connessi con il mondo, e meno ci relazioniamo, e questo è particolarmente visibile tra i giovani.
Ma c’è di più: viene la sensazione che si incrementino alcuni vizi pericolosi, come la gelosia morbosa del successo altrui, e addirittura la perniciosa invidia, che è come un volere-il-male-per-gli-altri (dal verbo latino in-videre, cioè guardare contro, di malocchio). Sono testimone quotidiano, anche in ambienti di lavoro industriali e commerciali dove opero, ma sento anche da racconti purtroppo analoghi di altri ambienti, di un crescendo pericoloso e masochista di sentimenti negativi, che dettano azioni negative, delazioni, “messe a male” dell’altro, solo per il meschino piacere, infimo, di godere di un po’ di sofferenza altrui.
Che fare, se non pensare di riprendere ogni giorno la fiducia che l’animale umano sia in grado di redimersi, e perciò di riprendere a guardarsi negli occhi, senza dietrologie e spirito di competizione distruttiva?
Sì, dai.
Post correlati
0 Comments