Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

La “macchina” usata

La metafora è ispirata da un caro amico, avvocato di vaglia e uomo di spirito.

Eccetto che in un Leon FRpaio di casi, ho sempre acquistato auto usate, Fiat, Wolkswagen, Citroen, Alfa… e ora una poderosa Seat Leon FR potenziata, un 2000 turbodiesel  che supera i 200 con facilità, ma io l’ho fatto una volta sola, e che fa 17 km con un litro di gasolio. Il prezzo di un usato, anche molto buono, è del 50% e anche meno, del nuovo. Non vedo perché io debba mettere sulla strada 30mila euro che non ho, invece della metà, e a rate, visto che l’usato mi fa lo stesso servizio del nuovo. Mi piace l’usato, è umile e sicuro.

Anche noi umani siamo bio-macchine, usate fin dai primi attimi della nostra vita, usate nel senso che la vita ci usa, e nel senso che noi ci abituiamo ben presto alla vita: “usiamo” frequentarla, proprio perché lei ci abita.

Questa usura si trasforma e ci trasforma nel tempo, ci accompagna segnalandoci esigenze di riposo e manutenzione. Io, ad esempio, alla rispettabile età che mi accompagna, da un poco di tempo faccio manutenzione al corpo: eradico piccoli nei, o cose del genere, cistine piccole ma già fastidiosette, vedo della bronchitina e delle corde vocali, un po’ troppo sfruttate: eh, parlo tanto, io. Forse dovrei zittire un po’, e lo farò. Intanto, nelle prossime settimane, oltre al quotidiano lavoro relazionale, fatto di parole, devo completare un corso di antropologia religiosa, e mi attendono come relatore almeno cinque conferenze.

Ma mi prenderò una pausa, cercherò, dopo questo tour de force, di nascondermi in qualche non lontana ma quasi introvabile convalle di confine, almeno due giorni, nel silenzio, nel bosco, auscultando il mio bioritmo e qualche animale selvatico.

Sono una “macchina usata”, ma ancora, inshallah, molto efficiente, ancora, e sperabilmente per non poco, ancora.

Mi ritaglierò sempre più spazi temporali, anche se piccoli, per silenziare il mondo che borbotta attorno a me, le sue urla talora sgangherate, talaltra grottesche, di una miriade incontrollata di sollecitazioni e di priorità inesistenti, o almeno irragionevoli. Perché si può fare, vivere con meno, addirittura con poco, se si ascolta veramente la voce di dentro, che possiamo comprendere, se stiamo in ascolto di… noi stessi.

Come macchina usata prenderò la mia macchina usata per raggiungere piccoli borghi di mezza montagna, confinanti con profondi boschi verde scuro, gli stessi boschi che vivono nella mia coscienza, nel profondo dell’anima, ossigenandola ogni notte quando dormo, e di giorno, quando veglio e parlo e ascolto, e mi sento bene o meno. Così.

Come macchina usata prenderò la bicicletta da strada, la mia Bottecchia in alluminio, non in carbonio, costosa come un’utilitaria, e mi spingerò per conosciute contrade prealpine, fino al ponte altissimo che solca le verdiacque venienti dalla montagna, il grande Fiume che canto.

Come macchina usata mi metterò in cammino per interpoderali senza confini, oltre lo sguardo dei gabbiani razzenti, in vista delle acque sorgive e della sorgente perenne.

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