La lunga strada
…da dove vengo è in parte conosciuta e in parte no. Come sono fatto io, così come ogni essere umano si fonda nelle lontananze della storia genetica e della storia sociale. Ambienti, persone, guerre, malattie, violenze, alimentazione, igiene, silenzi, discorsi, voci e dimenticanze hanno creato le condizioni per cui sono “uscito” così come sono dalla storia precedente: provvisto di una mente non criminale.
Adrian Raine pubblica, tradotto, presso Mondadori, il saggio L’anatomia della violenza. Le radici biologiche del crimine. Egli pone in evidenza la dimensione biologistica del nostro “destino”, non trascurando di ricordare che in questo modo si interpellano contemporaneamente vari saperi, oltre alla biologia e alla paleontologia: la neuro-clinica, cioè curare e come i violenti, il neuro-diritto, cioè come punirli, la neuro-etica, cioè fino a dove è lecito spingerci? (E. Sirgiovanni, il Sole24 Ore della Domenica del 28 febbraio 2016). E, aggiungerei, la neuro-morale teologica del peccato, nella sua struttura di maggiore o minore gravità, piena avvertenza e deliberato consenso.
Spunta nella ricerca di nuovo lo scandalizzante (non me) nome di Cesare Lombroso (Ezechia Marco), positivista e biologista del nostro Ottocento. Raine racconta l’evoluzione di istinti primordiali e atavici (Lombroso), “…ma anche di come alcuni ambienti favoriscano la selezione naturale di egoisti mentre in altri a cavarsela meglio sono inguaribili filantropi; di genetica comportamentale, di interruttori silenti iscritti nel nostro corredo dalla nascita; di anatomia, funzionamento e interazione complessa dei meccanismi del cervello del violento e del bugiardo; di fattori di rischio nel corso dello sviluppo, compresi traumi, infezioni, agenti fisico-chimici e malnutrizione; di epigenetica e puzzle biosociale che compongono disegni spaventosi. Nella diatriba “sociologia (e psicologia, ndr) vs biologia” emerge qualcosa di interessante, e cioè che a volte la spiegazione eziologica (cioè la causa scatenante) è condivisa: scarsità di risorse o condizioni ambientali accendono micce esplosive. (…)” (ivi, cit.)
Infatti, mi vien da dire, perché nel cortile dove sono nato, e in altri vicini, vi sono state tante morti infantili, proprio contemporanee alla mia nascita, o giù di lì? Le condizioni sociali dei miei genitori e la loro fatica di sopravvivenza erano più o meno analoghe a quelle di altre famiglie…
Forse dobbiamo chiederci, oltre ad accettare che esiste ed interviene la dimensione fisico-biologica che lavora da tempi lontanissimi, se possiamo fare qualcosa per eradicare le condizioni sociali che possono fungere da causa scatenante del male criminale, o del male umano tout court: migliorare le condizioni carcerarie, dando senso umano al lungo tempo della segregazione; aiutare di più le famiglie delle vittime di crimini di qualsivoglia natura siano; combattere mobbing e stalking ovunque si manifestino; dare una mano con opportuni interventi di riflessione e sostegno psicologico ed etico-filosofico nelle situazioni familiari “malate”; rafforzare le strutture che operano nella socio-assistenza; informando e formando meglio chi opera nelle situazioni del disagio, ma soprattutto acquisire una più generale consapevolezza della crisi cognitiva ed intellettuale che si sta vivendo in questo momento storico. Diversamente l’Occidente dall’Oriente, ma in comune in quanto crisi, se pur derivante da condizioni socio-culturali differenti.
Non tanto e non dunque “scontro di civiltà”, ma fase del drammatico processo di crescita dell’umanità in umanità.
Post correlati
0 Comments